Istruire e educare: due verbi di cui si sente tanto parlare e che spesso vengono concepiti come funzioni scisse l’una dall’altra. Ma è davvero così? Secondo Alessandro D’Avenia, insegnante di lettere a Milano e autore di bestseller tradotti in tutto il mondo, “non si può separare l’educazione dall’istruzione perché, così facendo, il rischio è quello di un disastro educativo nel quale si pensa che basti qualche regola per educare gli studenti”.
Infatti, come abbiamo visto in questo articolo, i professori educano anche quando non vogliono educare: trasmettono messaggi educativi – o diseducativi – con la loro semplice presenza, con le parole che usano nei confronti degli alunni e dei colleghi poiché, nel momento stesso in cui si parla, si sta plasmando il mondo.
Un mondo, quello scolastico, in cui si instaurano e si sviluppano le prime relazioni sociali, le quali rappresentano un momento fondamentale nella crescita dei più piccoli. Durante questo periodo i giovani si avvicinano l’uno all’altro con curiosità e spontaneità, stringendo legami significativi con cui cominciano a modellare anche la loro personalità. Tuttavia, se da una parte esistono relazioni positive che nutrono e aiutano i ragazzi a crescere, dall’altra parte esistono le cosiddette relazioni negative che portano a un loro impoverimento, rendendoli aridi e indifferenti alla realtà che li circonda.
Gli insegnanti possono intervenire affinché gli alunni non si chiudano al mondo. “Basterebbe abbracciare un Rinascimento accessibile a tutti”, suggerisce lo scrittore, basato sul valore delle relazioni e non sull’individualismo di cui la società è pregna.
Una rinascita che può avvenire attraverso piccoli gesti simbolici: come tenere una pianta in ogni classe e condividerne la cura, ascoltare musica classica per creare armonia oppure dare spazio al momento dell’appello, in quanto è lì che si riconosce lo studente come persona e non solo come voto (ne abbiamo parlato in questo articolo).
Questo perché “solo chi è toccato dalla bellezza della relazione con la vita (la pianta), con il bello-vero-buono creato dagli uomini del passato (le materie: la musica è una metafora) e narrato da quelli del presente (i maestri) si sente chiamato a fare qualcosa di bello della e nella sua vita”, sottolinea D’Avenia.
Per lo scrittore, infatti, l’educazione non è semplicemente un insieme di regole da seguire, è piuttosto un’arte che richiede creatività e impegno costante poiché educare significa anche aiutare i ragazzi a crescere, riconoscendo e supportando le loro capacità e qualità innate. In fin dei conti, i professori accompagnano gli alunni nelle delicate – e a volte complicate – fasi della vita. Lunghi periodi in cui i giovani chiedono di essere ascoltati dagli adulti, dalle istituzioni scolastiche e, se ciò non avviene, rischiano di sentirsi inadeguati nei confronti della realtà.
È quindi fondamentale che vadano oltre le nozioni accademiche, insegnando ai più piccoli che i fallimenti sono inevitabili, che le frustrazioni possono essere gestite e che ognuno di loro è unico e irripetibile. Perché è solo così che “si possono riconciliare con la realtà”.
Approfondiremo come aiutare i ragazzi ad amarsi per ciò che sono insieme ad Alessandro D’Avenia e EducAbility, l’evento per docenti e dirigenti scolastici di ogni ordine e grado.
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