Ogni giorno ci rapportiamo con giovani che, come Ulisse nell’Odissea, si trovano ad affrontare un mare in tempesta, alla ricerca della propria identità e del loro posto nel mondo. Vivono un’esperienza nell’ignoto, simile a quella dell’eroe omerico di fronte al richiamo delle sirene, attratti da voci che promettono soluzioni facili, ma che spesso conducono a false speranze.
La scuola, quindi, non deve essere solo un luogo di apprendimento, ma anche un porto sicuro, dove ciascuno possa fermarsi un attimo, legarsi all’albero maestro per ascoltare la propria storia. È un posto in cui riflettere su se stessi, per capire se il proprio nome farà parte del “racconto della vita”, esplorando sogni, fragilità e potenzialità.
D’altronde, sappiamo bene che l’adolescenza è l’età della speranza, quell’età in cui i ragazzi cominciano a intravedere la loro vocazione personale, iniziando a percepire la libertà come una responsabilità e non più come un semplice momento di svago. In questo periodo di grandi trasformazioni, il ruolo degli insegnanti assume un’importanza maggiore poiché sono chiamati ad essere gli adulti che credono nelle capacità degli studenti ancor prima che siano questi ultimi a farlo, specialmente quando manca il sostegno da parte dei genitori.
È accaduto anche a noi da piccoli, quando un semplice gesto da parte di un professore – come il prestito di un libro o il dedicarci un po’ di tempo in più – ha avuto un grande impatto sulla nostra crescita. Il compito di educare, quindi, è innanzitutto quello di essere il riflesso della forza nascosta dei ragazzi, di accompagnarli nell’arte di sperare, di vedere oltre gli ostacoli.
Ma non possiamo dimenticare che, insieme a questa speranza, dobbiamo far sì che i giovani concepiscano anche l’arte di affrontare la fragilità e il fallimento, di far “morire” ciò che non serve per far emergere quel che conta davvero, affinché scoprano il “copione inedito che ciascuno di loro è venuto a raccontare”, sottolinea Alessandro D’Avenia.
Da luogo di apprendimento, quindi, a laboratorio di umanità, la scuola diventa un posto in cui le insicurezze non sono motivo di vergogna, ma opportunità di cura e crescita. La fragilità, infatti, obbliga alla relazione perché è proprio nella relazione che essi trovano la loro identità.
E allora i docenti non sono più meri veicoli di nozioni accademiche, bensì si trasformano nei custodi del futuro degli studenti, adulti che danno a questi la certezza che esiste un posto nel mondo per ciascuno, anche quando il mare sembra calmo e vuoto.
Sono gli insegnanti che generano e rigenerano tutti i giorni l’unicità che ogni ragazzo è venuto a portare sulla Terra, tant’è che i nomi pronunciati durante l’appello si tramutano in una promessa, in un invito a essere parte della storia. È il riconoscimento del fatto che, come Ulisse sceglie di tornare a Itaca rifiutando l’immortalità, anche loro hanno un viaggio da compiere, e la scuola li aiuta a trovare la strada.
Come aiutare gli studenti a superare la paura di fallire cosicché crescano antifragili: non vediamo l’ora di parlarne insieme ad Alessandro D’Avenia a EducAbility, l’evento dedicato a dirigenti e docenti di ogni ordine e grado per lo sviluppo delle life skills nelle scuole.
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