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Dalla scuola alla società: costruire un futuro inclusivo senza bullismo

Dalla scuola alla società: costruire un futuro inclusivo senza bullismo e cyberbullismo

In Italia, il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo sembra travolgere le nuove generazioni con una violenza che si manifesta nel mondo fisico tanto quanto in quello virtuale. Secondo un’indagine dell’Osservatorio indifesa di Terre des Hommes, il 65% dei giovani ha dichiarato di essere stato vittima di violenza, con il 63% che ha subito atti di bullismo e il 19% di cyberbullismo. Dati preoccupanti che ci pongono di fronte alla realtà di una crisi sociale che richiede interventi urgenti. Le prime due agenzie educative fondamentali sono la famiglia e la scuola, ma se la prima fallisce, allora è la seconda che deve intervenire.

Negli anni Settanta si parlava della scuola come un centro culturale polivalente: un luogo aperto al territorio, dalla mattina alla sera, con una biblioteca annessa e un’equipe medico-psicopedagogica per formare costantemente gli insegnanti e renderli in grado di confrontarsi con gli studenti, così come monitorare le situazioni in cui vivono questi ultimi.

Un approccio capace di creare sinergie tra famiglie, scuola e società, preparando i cittadini del domani e, soprattutto, capace di prevenire atti di bullismo e di violenza in generale. Infatti, se le scuole fossero aperte ovunque, senza alcuna distinzione, i benefici sarebbero molteplici sia a livello didattico, sia per la collettività stessa poiché la cultura apre il cuore e la mente dei ragazzi.

Purtroppo, questa è ancora un’idea utopica in Italia. “I governi che non investono nella tutela delle famiglie e delle scuole sono governi che rischiano di compromettere il futuro delle società”, osserva Maria Rita Parsi, docente, psicopedagogista e psicoterapeuta, che ha dedicato gran parte della sua carriera alla promozione del benessere psicologico. Ciò è particolarmente rilevante nell’epoca in cui viviamo, dove il mondo virtuale riveste un ruolo sempre più centrale nella quotidianità di tutti noi.

Siamo connessi a qualsiasi ora del giorno a prescindere dal luogo in cui ci troviamo e questa costante connessione influisce sulle nostre difese psicologiche, andando a ledere soprattutto quelle dei giovani che sono immersi nel digitale senza alcuno strumento per tutelarsi. Se da un lato la rete offre un rifugio contro le paure esistenziali, come l’angoscia per il domani, dall’altra parte rappresenta un veicolo per contenuti potenzialmente pericolosi e violenti, a cui le generazioni precedenti non erano esposte. La sfida dei ragazzi di oggi, quindi, è duplice: resistere a queste influenze o, al contrario, chiudersi in sé per sfuggirvi. 

“Chi non conosce i propri limiti tema il suo destino”, diceva Aristotele. Un avvertimento del tutto attuale poiché l’assenza di regole ben definite nel digital, e la libertà pressoché totale di esplorazione, possono portare i minori a diventare pirati digitali, ovvero utenti che agiscono senza rispettare norme e leggi, riflettendosi poi nella realtà fisica. Le conseguenze, come si può ben immaginare, sono gravi e dannose, non solo per il singolo, ma anche per gli altri.

La dispersione scolastica ne è un esempio. Seppur questo fenomeno sia legato a componenti psicologiche, l’eccessivo utilizzo delle nuove tecnologie amplifica il problema traducendosi in comportamenti che fino a poco tempo fa nemmeno esistevano, come l’hikikomori (di cui abbiamo parlato in un precedente articolo) e il cyberbullismo. Una violenza, quest’ultima, che trova cassa di risonanza nei social, nelle chat private o di gruppo, e che ha un effetto disastroso sulle vittime, le quali tendono a ritirarsi in loro stesse e a nascondersi dal mondo intero. A volte, per paura di ritorsioni, sono anche gli amici e i compagni di classe a tacere isolando maggiormente chi subisce tali angherie.

Cosa può fare la scuola in questo contesto?

Prima di tutto ricordare che l’aula non è un semplice luogo di apprendimento, bensì uno spazio sociale in cui i ragazzi cominciano a intessere relazioni, a plasmare il proprio carattere e a sviluppare un pensiero critico che li aiuta – e aiuterà – a comprendere ciò che li circonda imparando a scindere tra “il bene e il male”.

L’obiezione che può essere mossa è che questo è compito delle famiglie, ma come abbiamo detto inizialmente, quando a fallire (o a mancare) è un’educazione genitoriale, il testimone passa inevitabilmente alla scuola. Per essere parti attive della crescita dei giovani, un dialogo aperto ed empatico è ciò che costruisce un ponte tra gli adulti, quindi gli insegnanti, e coloro che saranno i cittadini del futuro. Non soltanto, anche l’implementazione di programmi educativi che promuovono una cultura di rispetto e responsabilità, sia online sia offline, diventa un passaggio essenziale per cominciare a delineare una società più equa.

Nel corso della nuova edizione di EducAbility, scopriremo approcci pedagogici innovativi per favorire l’inclusione, attraverso esempi pratici e casi di studio, insieme a Maria Rita Parsi.

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