Dormono di giorno, chattano di notte e mangiano in camera. È la Generazione H, quella degli Hikikomori, ragazzi che smettono di andare a scuola per più di sei mesi, rifugiandosi in un mondo virtuale in cui parlano con tanti amici (al contrario della vita reale), giocano, combattono, costruiscono un’altra esistenza.
“È un po’ come dire: non vivo più, il mondo reale non esiste, è una maniera virtuale di suicidarsi.”
Maria Rita Parsi
Secondo i dati diffusi dall’associazione Hikikomori Italia, le cause possono essere caratteriali (sensibilità, difficoltà nell’instaurare relazioni), familiari (assenza emotiva del padre e eccessivo attaccamento con la madre), sociali (pressioni di realizzazione), ma possono essere anche scolastiche. Il rifiuto della scuola è uno dei primi campanelli di allarme: solo andando in profondità, e con la collaborazione tra genitori e insegnanti, è possibile capire se quello “stare in disparte” sia figlio di una storia di bullismo.
Sì, perché la dipendenza da internet è una conseguenza, non una causa.
Secondo Maria Rita Parsi, gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale nella vita individuale e collettiva dei loro allievi. Infatti, se si alleano tra loro e fanno informazione, possono conoscere e contenere questo fenomeno, permettendo ai ragazzi di capire in quale direzione stia andando la società che si trovano ad affrontare, per non restare schiacciati dal suo peso.
E questo può succedere quando il contesto fisico dell’istituto si amplia, ospitando biblioteche, teatri, spazi di incontro nei quali poter anche presentare dei libri, ma soprattutto quando viene creata un’équipe socio-psico-pedagogica permanente a disposizione di docenti e genitori.
Nella vita di ognuno di noi il rinforzo positivo di un insegnante è strettamente decisivo, anche in chi ha più difficoltà. Il rinforzo negativo, l’umiliazione, la punizione provocano ferite che spingono i più giovani a rifugiarsi in altri mondi. Così, i ragazzi delusi bypassano la realtà scolastica e usano il web per avere informazioni, scambiarsi immagini, compiere le prime prove di iniziazione alla sessualità, incontrare nuove persone e magari amarle, oppure odiarle.
Dato che l’identità si costruisce con l’amore e con l’odio, con le esperienze, le contrapposizioni, l’incontro e il dialogo, in che modo i nostri ragazzi possono costruire la loro se agiscono e pensano in modo fasullo? E cosa succede quando, invece di confrontarsi con coetanei, insegnanti e genitori, si imbattono in contenuti che li spingono a compiere sfide inaudite e pericolose, a cadere nell’anoressia o a cedere foto intime a estranei?
La risposta è che vivere nel mondo virtuale significa (solo apparentemente) poter volare, essere colpiti gravemente per rialzarsi subito, non morire mai.
Inoltre, il business che alimenta il mondo digitale è così grande che i bambini sfuggono anche ad occasioni di socialità comuni. Ad esempio, i genitori non acquistano più i regali di Natale insieme ai figli nei negozi fisici, ma lo fanno online per risparmiare. Questo innesca circoli viziosi: risparmiando, si riesce ad acquistare di più e ciò ci rende accumulatori seriali.
Il mondo virtuale può essere un mare difficile da navigare se non si possiedono gli strumenti adatti per affrontarlo. Allo stesso tempo, però, può metterci nella condizione di sviluppare soluzioni alternative, nel mondo reale, per moltiplicarne gli effetti positivi e attutire o annullare quelli negativi.
Continueremo a parlare di come gli insegnanti possono supportare i giovani nella costruzione della loro identità insieme a Maria Rita Parsi nella nuova edizione di EducAbility, l’evento per docenti e dirigenti scolastici di ogni ordine e grado.
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