Bullismo: una bussola per la scuola

Bullismo: una bussola per la scuola

A lungo ci si è interrogati sul significato del termine bullismo: alcuni lo fanno derivare dall’inglese to bull (usare prepotenza, maltrattare, intimidire, intimorire) mentre altri richiamano l’etimo olandese (bole, fratello). Termini apparentemente antitetici vanno a definire un sistema complesso di relazioni in cui proprio chi ti dovrebbe essere amico (o amico fraterno) ti tradisce facendoti del male. A ben vedere, osservando il fenomeno, stiamo guardando tutti i lati della complessa vicenda.

Ma tutti gli episodi di violenza possono essere inscritti nel fenomeno del bullismo?

Esistono gli strumenti che il docente può utilizzare per distinguere un semplice episodio di prepotenza da un qualcosa di più complesso, da attenzionare e su cui intervenire?

Secondo Daniele Novara, il pedagogista che ha fondato il primo Centro PsicoPedagogico in Europa per l’educazione e la gestione dei conflitti, il bullismo è un termine tecnico introdotto dagli scienziati nordeuropei alla fine degli anni 70 che hanno individuato un insieme di comportamenti che contraddistinguono questa devianza.

In base ai loro studi, possiamo isolare due caratteristiche fondamentali che servono a definire un comportamento violento e offensivo come bullismo:

  • l’intenzionalità: l’attacco a una persona che non è in grado di difendersi;
  • la continuità: il persistere di questi attacchi, portati avanti in modo continuativo.

In base a questi due criteri, possiamo escludere dal fenomeno tutta l’area infantile (scuola dell’infanzia e primaria) in quanto il pensiero intenzionale non è ancora sufficientemente formato in quest’area. Il fenomeno, invece, è presente sia in età pre-adolescenziale che in quella adolescenziale.

Docenti e genitori possono invece basarsi su questi parametri per distinguere il bullismo da un litigio. “Il bambino che litiga, che entra nella gestione della contrarietà con gli altri – afferma Novara – accetta che gli altri esistano. Il bullo, invece, è un ragazzo fragile che non sa litigare e che se la prende con figure ancora più fragili e deboli”.

Uno degli aspetti sui quali si può intervenire è aiutare bambini e ragazzi arrabbiati a capire che la contrarietà fa parte delle relazioni e che viverla non significa perdere la relazione, ma tentare di scoprire qualcosa di nuovo: conflitto significa relazione e il conflitto, diversamente dalla rabbia, è gestibile.

Approfondiremo il Metodo maieutico di Daniele Novara per permettere ai ragazzi di gestire i conflitti, agli studenti più deboli di far valere le proprie ragioni, con l’attenuazione dell’aggressività in classe nei prossimi appuntamenti EducAbility.

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